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Condannata dal vizio della lettura veloce a divorare libri su libri mi sono resa conto che mi piace non solo sfogliarli, annusarli, toccarli, prenderli e darli in prestito, rubarli, nasconderli, regalarli... ma persino parlarne fino all'esaustione.

martedì 24 marzo 2015

Addio alle armi - Ernest Hemingway (1929)

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Nonostante le feroci critiche del gruppo di lettura, mi tengo stretta l'idea che a me Hemingway piaccia. Mi è piaciuto molto Il vecchio e il mare, ne sono convinta, eppure praticamente non ricordo niente tranne un vago malessere per una lotta titanica senza scopo.
Forse è proprio questo che ci vuole dire Hemingway? Che niente ha senso sul lungo periodo e che ci dobbiamo accontentare della felicità passeggera data dalla compagnia di una bella donna e di un bicchiere di mojito gelato?

Per me questo libro rappresenta il manifesto antimilitarista per eccellenza. Racconta con forza l'insensatezza della guerra, di ogni guerra e questa viene amplificata dalla tragedia personale del protagonista che, come dice Fernanda Pivano nel commento, rappresenta il furto del futuro e l'annichilimento del presente.

Di solito non copio citazioni dai libri, perché le citazioni sono una sforbiciata estremamente personale sulla lunga trama del racconto, però questo libro sembra chiedere a gran voce il rimando. Richiamo che mi serve sia per testimoniare l'intento antimilitarista di Hemingway sia il successivo punto che vorrei approfondire.

"Parole astratte come gloria, onore, coraggio o dedizione erano oscene accanto ai nomi concreti dei villaggi, ai numeri delle strade, ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti e alle date."

"Se la gente porta tanto coraggio in questo mondo, il mondo deve ucciderla per spezzarla, così naturalmente la uccide. Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide. Uccide imparzialmente i molto buoni e i molto gentili e i molto coraggiosi. Se non siete fra questi potete esser certi che ucciderà anche voi, ma non avrà particolare premura."

Leggendo questo libro, soprattutto questa seconda citazione, sono stata travolta dai dejà vu letterari, nel senso che ogni tra pagine mi sembrava di aver già letto, visto, sentito quello che stavo guardando. Mi sono chiesta da dove venisse questa sensazione di straniamento e una delle risposte che mi sono data è questo libro che è estremamente antologizzato nei libri di scuola ed è sfruttatissimo per raccontare la prima guerra mondiale. Ho quasi l'impressione che perda di valore a essere così tanto una lettura scolastica... come se perdesse la sua forza e fosse sminuito. 

Un altro momento di straniamento viene dall'essere una lettura fuori contesto, nel senso che non è uno dei miei generi preferiti e questo non è stato un obbligo scolastico o desiderio di documentarmi. E' stata una lettura che mi è capitata e non è stata cercata, meditata e desiderata. Questo tipo di lettura lascia la sensazione che la prima guerra mondiale sia così lontana, come superata nell'orrore da altri orrori. 

"la guerra sembrava lontana come le partite di football di una squadra indifferente"

Straniamento peggiorato dall'impressione che non capiti niente perché, qualunque cosa succeda, mantiene sempre quel tono monocorde quasi snervante; tono però rischiarato da lampi di luce rappresentati da immagini e descrizioni estremamente vivide come ad esempio il secco lampo bruciante dello schiaffo la prima volta che prova a baciare Catherine oppure le descrizioni fotografiche del paesaggio. Di certo è il tono del giornalista da reportage di guerra: queste frasi secche e puntuali senza troppi fronzoli, sembra proprio un crudo resoconto dei fatti. Hemingway ha visto la prima guerra in Italia facendo proprio l'autista di ambulanza quindi c'è da chiedersi quanto ci sia di autobiografico in questo libro: alcuni fatti sono chiaramente ispirati alla sua vita, come il difficile parto della sua compagna avvenuto durante la scrittura di questo libro.

E' abbastanza chiaro che siano i suoi ricordi di guerra rimaneggiati e conditi in altra salsa, eppure la forza del ricordo non sembra slavato dal passare del tempo. Leggiamo con chiarezza l'aumento di consapevolezza del protagonista sempre più cinico nei confronti di una guerra che nessuno gli aveva chiesto di combattere (è un americano che si è arruolato nell'esercito italiano) e a cui, chiaramente, aveva aderito con grande entusiasmo.

In conclusione devo dire che, nonostante la figura di Catherine come donna assolutamente dipendente dal maschio, devo dire che questo libro mi è piaciuto. Ha una forza e un'intensità disperata antimilitaristica che mi sento di sposare in pieno. Dice chiaramente che la guerra la fanno i poveri e quelli che non la vogliono davvero fare e che non c'è futuro nella guerra.
Mi piace anche lo stile secco, essenziale che però non toglie niente alla narrazione e alle immagini.

Consigliato: per tutti, c'è sempre bisogno di leggere quanto la guerra sia stupida!


E io cosa leggo adesso?



2 commenti:

  1. Ho letto questo libro poco dopo "Il signore delle mosche" e quindi, anche se lo ricordo meglio, parliamo sempre di un'era geologica fa.
    Ricordo, però, di avere pensato a una certa bivalenza di Hemingway nei confronti della guerra. Anche considerando altre sue opere, o la sua biografia, mi sembrava che non condannasse tanto la guerra in sé, tanto una guerra, quella, che non capiva, dove l'individuo veniva annullato (dove non si sentiva "maschio dominante"?).
    Non so dare un giudizio, ma mi sembra molto la storia di una incomprensione di fondo. Il protagonista (e l'autore) si trova in una guerra che non capisce, in terre, l'Italia, che non capisce, tra gente che non apprezza e anche la storia d'amore gli sfugge di mano, fino a finire in tragedia. Ricordo un profondo senso di inutilità e di indifferenza e una certa supponenza americana nei confronti dell'Europa...

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