Complice ancora il gruppo di lettura, la mia
estate è stata monopolizzata dal Cavaliere della trista figura. Devo ammettere
che le settecentonovantatre pagine mi hanno un po' provato e mi sono trovata
spesso, durante la lettura, a contare quanto mancasse alla fine, come non
capitava dal tempo dei tomi noiosissimi dell'università.
La storia e i protagonisti sono così noti
dall'essere entrati nella mitologia letteraria, quella in cui tutti sanno tutto
della storia senza averne mai letto una riga. Protagonista di questo romanzo,
prima che la struttura del romanzo moderno nascesse, è un hildalgo che si
mantiene appena sopra il limite della decenza economica così appassionato di romance
cavallereschi da convincersi di essere un cavaliere errante redivivo mandato al
mondo con la missione di soccorrere le donzelle, punire i malvagi, difendere la
vera religione. Viene accompagnato nelle sue pellegrinazioni da uno scudiero,
Sancho Panza, che oscilla tra credulità e saggezza nei confronti della follia
del suo padrone. Attorno a questo fulcro narrativo girano tutta una serie di
personaggi che costituiscono le avventure che tutti conosciamo: la dama
Dulcinea del Tomboso che, in verità, è una contadinotta ruspante; Ronzinante,
il fiero destriero del cavaliere, talmente placido che una sua fuga amorosa
diventa pretesto per una nuova avventura; i mulini a vento, assunti a ruolo di
giganti; greggi di pecore e caproni, trasformati in schiere di eserciti nemici;
la nipote e la governante di Don Chisciotte, l'unica voce di saggezza rimasta a
casa a preoccuparsi per questo uomo maturo che fa le bizze come un ragazzino;
il curato, il barbiere e il baccelliere che diventano il magico trio tutto teso
a escogitare piani per riportare il cavaliere a casa e alla sanità
mentale.
Tutti questi personaggi costituiscono contorno e
struttura alle avventure di Don Chisciotte, ma la vera protagonista è la follia
lucida che guida ogni interpretazione della realtà del cavaliere. Più e più
volte viene sottolineato che don Chisciotte è un uomo assennato e razionale
finché non si parla di cavalleria, ed è un vero peccato che quest'uomo così a
modo abbia questa insana passione che lo travolge e lo trascina lontano dal
vivere civile. Trovo che questo continuo sforzo di far tornare Don Chisciotte
nei binari della razionalità sia da una parte il motore che muove la struttura
della trama e dall'altra, in maniera molto romantica, di una tristezza
micidiale perché la follia non è permessa, la passione folle per un ideale
fuori dal tempo è vista come sintomo di insania e quindi espulsa dalla vita
civile. Andando avanti con la lettura non sono riuscita a capire se questa
parodia del romanzo cavalleresco fosse solo, come sembra, una trovata di genio
per divertire o ci fosse una critica all'esclusione del diverso, del
folle... dopotutto è molto probabile che Cervantes provenisse da una famiglia
di cristiani di recente conversione per sfuggire alle purghe di islamici ed
ebrei dalla cattolicissima Spagna e che sentisse il tema dell'esclusione, della
diversità come un tema attuale. Non c'è però, dal mio punto di vista una presa
di posizione chiara su questo tema, è solo lo spunto per raccontare buffonate
cavalleresche.
Per quanto riguarda la struttura narrativa il
libro si divide in due parti, scritte in due momenti differenti della vita di
Cervantes: la prima parte dettata in prigione dopo essere stato eroe a Lepanto
e la seconda scritta in risposta a un altro autore che si era impossessato del
cavaliere e del suo scudiero per farne i protagonisti di un altro romanzo. Cervantes, giustamente, lo critica tantissimo per tutta la seconda parte.
La prima parte è composta da una serie di episodi
slegati tra loro che hanno in comune la struttura: si vede in lontananza una
situazione innocente - greggi, una locanda, un funerale -, Don Chisciotte
fraintende, Sancho prova a convincerlo che non è il caso di intervenire, Don
Chisciotte parte lancia in resta, viene battuto e pestato di botte assieme a
Sancho che non può non essere coinvolto nelle sorti del suo padrone. Devo dire
che i primi cinque sono una lettura piacevole, ma dopo la decima volta
diventa fastidioso fino a diventare urticante. Sono andata avanti per
ostinazione, sperando che ci fosse una novità, qualcosa che cambiasse il
ritmo... ecco, no, non succede. Per tutta la prima parte lo schema si ripete
sempre uguale a se stesso fino a farti impazzire di noia. Mi è venuto in mente
che non sia stato scritto per una lettura personale e continuativa: sembra più
un prodotto della cultura del suo tempo, in cui le letture erano corali come
divertimento serale, quindi gli episodi slegati erano funzionali ad una lettura
ad alta voce come svago.
La seconda parte invece ha un filo rosso che lega
tutti gli episodi: cercare in tutti i modi di far rinsavire il cavaliere. Con
questa idea Cervantes passa da un episodio all'altro con molta più continuità e
senso. Sembra decisamente un romanzo più moderno e, devo ammettere, più vicino
a quello che sono abituata a definire romanzo. Un altro punto che mi ha fatto
rivalutare questo libro è che nella seconda parte la psicologia dei personaggi
viene approfondita e smettono di essere macchiette bidimensionali e diventano
personaggi che hanno motivazioni e desideri. Ho trovato molto intenso l'episodio
di Sancho governatore dell'isola in cui, nonostante la burla ben congeniata,
dimostra di essere un buon governatore, più saggio di quanto ci si possa
aspettare dal Sancho che "conosciamo".
La seconda parte riscatta la fatica della prima e
sono molto contenta di aver resistito perché la lettura di questo capolavoro -
adesso posso davvero dirlo - mi ha lasciato un'emozione dentro: don Chisciotte
e Sancho Panza meritano di cavalcare davvero per l'eternità perché sono creature
vive, che soffrono e gioiscono, che sono saggi e pazzi insieme e che mi hanno
fatto sognare e soffrire con loro, fino alla malinconica conclusione.
E io cosa leggo adesso?
In effetti, è una lettura un po' impegnativa in termini di tempo e dedizione... non si insinua anche il dubbio sugli effettivi confini di ciò che viene definita pazzia?
RispondiEliminaEcco, sì... necessita proprio dedizione, o, per meglio dire, ostinazione! Non siamo più pronti a letture del genere, slegate e con esile filo che tiene insieme episodi a sé stanti.Per quanto riguarda la follia non c'è un'analisi psicologica del personaggio, solo l'idea che uno può essere perfettamente sano tranne in un'ossessione. Alla fine però è un pretesto per divertire e mettere in mostra tutta l'erudizione di Cervantes sulle tematiche cavalleresche.
EliminaAh! riguardo "L'alchimista", credo che conti molto anche il periodo della vita in cui lo leggi...
RispondiEliminaSono d'accordo... e dipende tanto se è il primo libro del genere che leggi o se arriva dopo tutta una serie di letture simili. In questo secondo caso sembra uno dei tanti libri "motivazionali"... peccato, perché è una bella storia, una storia che lascia dentro una certa intensità. A Manu piace tanto la definizione dell'amore che dà.
EliminaMa, non so, non è neanche questione del libro "motivazionale" (la tesi di fondo non è una novità, ma certo la puoi declinare in diversi modi), è un po' il "buonismo" di fondo a infastidirmi (non mi viene un termine migliore in questo momento)
RispondiEliminaDimenticanza: sto apprezzando di più quello che sto leggendo adesso, ma mi manca il finale, per cui rinvio il giudizio.
RispondiEliminaSe ne hai voglia, ti ho coinvolta in un giochino blogghesco con delle domande sui libri a cui rispondere
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